Draghi impone la presidente e l'amministratore delegato della Rai
Pd e IV applaudono

L'8 luglio Mario Draghi ha annunciato i nomi delle due persone di sua scelta per rinnovare i vertici della Rai. Si tratta di Carlo Fuortes per la carica di amministratore delegato e di Marinella Soldi per la presidenza, scelti per sostituire rispettivamente gli uscenti Fabrizio Salini, in quota M5S, e Marcello Foa, in quota Lega, nominati tre anni fa da Salvini e Di Maio col loro accordo spartitorio di occupazione totale dell'ente radiotelevisivo di Stato dopo la formazione del primo governo Conte.
L'annuncio è stato fatto da Palazzo Chigi e dal ministro dell'Economia Daniele Franco, a cui come maggior azionista della Rai spetta formalmente la nomina dell'amministratore delegato, ancor prima che il parlamento votasse i sette nuovi componenti del Consiglio di amministrazione, al quale tra l'altro spetterebbe per legge non solo la ratifica formale del nuovo ad, ma soprattutto la nomina del presidente, da proporre alla Commissione parlamentare di vigilanza della Rai per la ratifica. Draghi perciò ha compiuto un'altra delle sue ormai abituali forzature istituzionali, imponendo con un atto d'imperio persone di sua scelta al vertice della Rai, esattamente come ha fatto per rinnovare le direzioni di Ferrovie dello Stato e della Cassa depositi e prestiti, infischiandosene del parere del parlamento e degli stessi partiti che sostengono il suo governo.
 

I partiti si adeguano al “metodo Draghi”
Da giugno infatti questi ultimi rimandavano più di una volta la votazione del nuovo cda della Rai, non riuscendo a trovare un accordo per spartirsi le quattro di loro spettanza delle sette poltrone complessive, tolti cioè i due consiglieri di nomina governativa destinati alle cariche di ad e presidente e il consigliere già nominato dai dipendenti dell'ente, Riccardo Laganà. I problemi riguardavano soprattutto il M5S, ancora in pieno marasma per lo scontro tra Grillo e Conte e non ancora rassegnato a perdere insieme a Salini la direzione della Rai, e le contraddizioni interne al “centro-destra”, con la ducetta Meloni in ascesa elettorale e ben decisa a strappare ai suoi due alleati Salvini e Berlusconi una poltrona in cda per il suo candidato Giampaolo Rossi. Un terzo fronte di scontro riguardava poi il PD di Letta e Italia Viva di Renzi per decidere il candidato in quota “centro-sinistra”. Tanto che c'era chi avanzava il sospetto che i partiti puntassero ormai a rimandare la partita delle nomine a settembre, in attesa di ridefinire gli equilibri politici usciti scossi dall'avvento di Draghi.
Sia come sia il banchiere massone ha deciso di mettere un punto a tutto questo anticipando la sua decisione e costringendo quindi i partiti a votare i quattro candidati mancanti al cda per ratificare la nomina di Fuortes come ad e nominare Soldi come presidente. Cosa che è avvenuta il 15 luglio, contemporaneamente all'approvazione delle nomine volute da Draghi da parte del Consiglio dei ministri. In particolare ne usciva con le ossa rotte il M5S, che veniva a perdere la direzione generale della Rai senza ottenere nulla in cambio, se non un solo consigliere in cda, doppiamente umiliato da Draghi proprio nel momento in cui era costretto ad ingoiare anche la controriforma Cartabia e si trovava ancora dilaniato al suo interno e senza direzione politica.
Draghi ha tirato dritto infischiandosene anche dell'appello rivoltogli dall'Usigrai, che in una lettera aperta lo aveva esortato a non nominare anche il presidente, dal momento che “la legge attribuisce al governo la sola indicazione dell'Ad” e che “il testo della norma vuole che il presidente sia scelto dal Cda”. Il sindacato dei giornalisti della Rai chiedeva anche a Draghi di imprimere “una svolta al percorso di approvazione della riforma della governance che finalmente liberi la Rai Servizio Pubblico dal controllo sia dei governi che dei partiti, in linea con più sentenze della Corte costituzionale e con le indicazioni europee”. Come chiedere alla volpe di fare la guardia al pollaio.
 

Draghi fa sua la controriforma di Renzi
I quattro consiglieri nominati da Camera e Senato sono Francesca Bria, in quota PD, che ha battuto il candidato renziano Stefano Menichini; l'avvocato Alessandro Di Majo, voluto dal nuovo “capo politico” del M5S, Conte, che lo ha imposto ai gruppi parlamentari, i quali avevano scelto invece l'avvocato Antonio Palma e si sono vendicati facendo mancare una trentina di voti e diverse schede bianche e nulle; l'uscente Igor de Biasio, in quota Lega e Simona Agnes, figlia dell'ex presidente democristiano della Rai Biagio Agnes, candidata di Forza Italia. La Meloni è rimasta quindi a bocca asciutta a causa della tenaglia Lega-FI che ha tagliato fuori il suo candidato. La ducetta è andata su tutte le furie, invocando l'intervento di Mattarella e disertando per protesta l'incontro con i suoi alleati per presentare il candidato del “centro-destra” alle comunali di Milano. Anche la sua richiesta di ottenere per compensazione la presidenza della Vigilanza Rai ha ricevuto un secco rifiuto da parte dell'attuale presidente Alberto Barachini, di Forza Italia.
La leader fascista di FdI potrà rifarsi tra un paio di mesi, quando si aprirà la partita per il rinnovo dei vertici delle reti e dei tg, dove può già vantare la direzione di Rai2 con Ludovico Di Meo e quella del Tg2 di Gennaro Sangiuliano, in condominio con la Lega. Forse potrebbe ottenere come compensazione per lo “sgarbo” ricevuto dai suoi alleati la direzione della reste dei tg regionali, ora in mano alla Lega: “Far saltare l'alleanza di centrodestra per questioni di poltrone? Mi rifiuto di pensarlo. In Rai ci sarà spazio per tutti”, l'ha rassicurata il sornione Salvini.
Insomma Draghi, facendo sua la controriforma renziana, si tiene ben strette la direzione generale e la presidenza della Rai, cioè i vertici che dettano le linee portanti della comunicazione di regime, e ai partiti lascia l'osso da spolpare della spartizione delle reti e dei tg col sempreverde manuale Cencelli: altro che la riforma democratica della governance chiesta dai lavoratori della Rai per un'informazione pubblica e indipendente!
 

Chi sono Fuortes e Soldi
Ad esultare per le nomine imposte da Draghi sono stati soprattutto il PD e IV. Fuortes, un economista e manager che tra i suoi innumerevoli incarichi è anche Sovrintendente della Fondazione Teatro dell'Opera di Roma dal 2013, confermato nell'incarico fino al 2025, è considerato infatti vicino al PD e segnatamente al ministro dei Beni culturali Dario Franceschini.
In realtà delle sue prestazioni manageriali si sono servite tutte le giunte comunali romane a partire da Veltroni fino alla Raggi, passando per Alemanno e Marino. È stata proprio la Raggi a congratularsi per prima della sua nomina alla direzione della Rai, vantando la sua “competenza e passione” nel rilancio del Teatro dell'Opera di Roma. Un “rilancio” che però è stato attuato con una drastica politica antisindacale e di taglio del personale, tanto che Fuortes fece il suo esordio di Sovrintendente licenziando in blocco, con l'autorizzazione dell'allora sindaco Marino, orchestra e coro per un totale di 182 persone. Ora a Viale Mazzini paventano che “mani di forbice” (così lo soprannominarono i lavoratori) sia stato chiamato appunto per “rilanciare la Rai”, che ha accumulato un deficit di 523 milioni, con gli stessi sistemi adottati per il Teatro dell'Opera, con pesanti tagli al personale e forse addirittura la vendita di una rete.
Anche Marinella Soldi, nata a Figline Valdarno e laureata in Economia a Londra, ha come Fuortes un lunghissimo curriculum di incarichi manageriali di prestigio. Tra cui la presidenza della Fondazione Vodafone Italia e la partecipazione ai cda di Nexi, Italimmobiliare e Ariston Thermo. Nel campo dei media è stata per 10 anni ad di Discovery Network per l'Europa meridionale e dirigente di Mtv Europe e Mtv Italia.
È considerata vicina a Renzi, che non a caso ha esultato per la sua nomina. Renzi aveva pensato a lei come Direttore generale della Rai da lui appena “riformata”, salvo poi optare per Campo Dell'Orto. E fu lei ad acquistare per Discovery il documentario “Firenze secondo me” realizzato da Renzi e Lucio Presta. Un documentario rifiutato da Rai e Mediaset ma comprato a scatola chiusa dalla Soldi, per il quale Renzi ricevette un compenso di 450 mila euro, e che è al centro di un'inchiesta della magistratura fiorentina che sospetta un'operazione di copertura di un finanziamento illecito all'ex premier.


8 settembre 2021